Ci siamo soffermati su pochi oggetti al museo.
Un rastrello, col manico lisciato dall’uso e i denti sgangherati, che ci ha raccontato le fatiche di questi allevatori-contadini d’alta quota: i ripidi slarghi erbosi da falciare, gli scarsi frutti della terra, fredda troppo a lungo per via degli inverni ghiacciati, il cibo sicuro ma sempre scarso.
Una vecchia valigia, uguale a quella che al braccio di tanti disperati sono partite, per mesi, per anni, a volte sempre, alla volta di terre lontane, cariche di pochi miseri effetti ma di tante speranze.
Un fucile con struttura di legno, lungo, ingombrante, vetusto oggi e già ai tempi della Resistenza, dato che era un Càrcano M91, fabbricato appunto nel 1891. I tedeschi avevano in dotazione armi aggiornatissime (FG 42, MG42…), create ad hoc per questa nuova oceanica guerra; gli italiani usavano questo aggeggio. Chissà che paura, che scomodità, che rabbia per chi lo doveva usare e chissà che risate si facevano i nemici a veder imbracciati certi cimeli…Eppure, armati di questi, di impeto, di coraggio, quante azioni hanno organizzato i soldati prima e i partigiani italiani poi.
Questo ci hanno narrato questi pochi oggetti.
Molto altro ce lo hanno descritto i pannelli con fotografie, dati biografici, carte.
Qualche curiosità ce l’hanno levata altre fonti, come le urne per le votazioni del 2 giugno del 1946, le divise dei militari, i libri dedicati ai protagonisti della lotta contro la compagine nazifascista, i video con le interviste ai superstiti.
Tuttavia, il racconto più avvincente e appassionato è stato quello di Katia.
Ci ha fatto immedesimare nel comandante che sente il peso della responsabilità di gestire la brigata, nel contadino che non aderisce convintamente al fascismo ma a volte vi si adatta per poter vivere, del renitente alla leva che, nostalgico, dai monti la sera scende al paese per vedere la morosa, delle donne che pietose ricompongono i cadaveri sfatti dalle torture o che coraggiosamente nascondono nella gerla dell’erba o della legna messaggi e aiuti per i ribelli, degli IMI (internati militari italiani), i quali, di fronte alla offerta del ritorno a casa in cambio del servizio coi nazifascisti, hanno scelto per la stragrande maggioranza di restare nei lager…
I musei, in forme diverse, con stili e finalità differenti, sono tutti ben progettati, ordinati, stimolanti.
Ma, se chi li anima ci mette, testa, impegno, cuore, diventano molto più che musei.
Se chi li tiene aperti, li fa vivere con gioia, passione, cura, diventano più che allestimenti.
Diventano palestre, dove allenare lo sguardo, l’intuito, il pensiero.
Diventano scuole, dove crescere e far crescere le idee, i saperi, i sogni.
Diventano case, in cui abitare e in cui tornare più e più volte, ogni volta per scoprire qualcosa che prima ci era sfuggito, ogni volta sentirci al posto giusto.
(foto Cominini)
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